Tianmen. La Porta del Paradiso
In Cina, nei pressi della città di Zhangjiajie (in provincia di Hunan), in cima ad una montagna, fra due rocce si trova una porta a forma di arco, alta 30m e profonda 70m. I cinesi l’hanno denominata “Porta del Paradiso”, definendola il simbolo più vicino a Dio in terra (Tianmen).
Per arrivarci occorre fare 99 tornanti e salire 999 scalini. Oltre di essa, varcata la sua porta, una passarella di vetro di 60m a strapiombo su 1430 m di vuoto, si trova il cammino della fede, un percorso di straordinaria bellezza indicato specie a chi non soffre di vertigine, apre l’orizzonte ad una vallata spettacolare da un lato, dall’altro le tipiche montagne “a fette” cinesi chiudono un panorama mozzafiato.
In alternativa a tutto ciò, una comoda teleferica che toglie l’attesa del piacere, quest’ultima definita la chiave magica per ogni arte, ma in particolar modo per chi va alla ricerca di pietre e in questo spero ognuno, che si sia cimentato a cercare o pulire una pietra, abbia provato tale emozione.
La leggenda racconta che tale porta si formò in seguito ad un crollo della volta di una grotta, che cedendo lasciò intatta la volta fra le due rocce. Era l’anno 263 d.C.
Questo non vuole essere solo un noioso racconto, ma un riferimento di empatie ed emozioni tipiche delle pietre d’ammirare.
EMPATIA ED EMOZIONI
Empatia per cercare di carpire i sentimenti di chi vede od espone una pietra, ed emozioni che scaturiscono dall’interpretazione soggettiva della pietra. In tema di interpretazione soggettiva, ricordando che la pietra è parte della natura e che i giudizi umani essendo tali sono fallibili.
LA STORIA
Quando essa non ci comunica nulla in una esposizione, siamo noi a non essere capaci di interpretarla. Ma iniziamo la storia di questa pietra…
Un giorno d’autunno del 2018, un caro amico mi scrisse per chiedermi un mio parere su questa pietra (vedi foto 1).
Non una persona qualunque, ma un’esperto del panorama suisekistico italiano. Parlo di Domenico Abate, per gli amici Mimmo.
Ero già abbastanza felice che Mimmo mi volesse far vedere questa pietra, ma quando la vidi in foto rimasi folgorato. Era lei, la Porta del Paradiso. Il dubbio di Mimmo, affascinato dalla forma, dalla tessitura, dall’assenza di rotture recenti, era quella di darle un’interpretazione.
In merito alla patina, chiesi come mai un palombino avesse tale livello di bellezza già appena raccolto. Mimmo mi spiegò che, dove trova questo materiale, la montagna sottopone – grazie a forti venti – una sorta di sabbiatura alle pietre che sono fuori dal terreno.
IL PROGETTO
Cercai di spiegare la mia d’interpretazione, ma ci volle veramente poco che facesse sua l’idea. Ora bisognava proseguire ed occorreva darle un daiza alla sua altezza.
Doveva avere uno stile innovativo, non tradizionale, ma allo stesso tempo i suoi movimenti dovevano essere eleganti, leggeri, ed in armonia con le linee perimetrali della pietra. Doveva apparire un tutt’uno, ma ripeto, doveva essere innovativo.
L’idea di mettere al centro la scala era la novità (vedi foto n. 2).
Studiando diverse esposizioni orientali, ed in particolar modo giapponesi, affermare tale concetto era un’impresa ardua, ma restava in me l’assioma degli studi di keido in arte bonsai, sull’indispensabile esigenza di comunicazione nell’esposizione.
La scala ha questo obiettivo, comunicare l’ambito interpretativo. A questo proposito, mi venne indicato dalla mia mentore di riflettere sugli studi intrapresi sulle pietre cinesi, dalla loro esigenza di verticalizzare le pietre, alle loro basi.
IL DAIZA
Spesso i daiza cinesi non hanno solo il compito di dare una stabilità espositiva, ma hanno anche un ruolo interpretativo e questo era la mia esigenza per completare la pietra, comunicare un luogo ed un contesto paesaggistico.
I daiza cinesi si integrano con le le pietre, o per completarne la comunicazione o per rafforzarla. Sono autentici lavori di scultura che danno punti focali ulteriori al soggetto espositivo, contrariamente ai daiza giapponesi minimalisti ed essenziali.
CONSIDERAZIONI
È fuori dalle logiche dell’arte che tentiamo di esprimere? Non saprei, so che rinforza idealmente il progetto accompagnando lo sguardo dell’osservatore verso il passaggio.
È la chiave interpretativa che farà discutere? Inoltre – e grazie a qualcuna – ho imparato che un piede centrale e per di più sotto un punto di debolezza non si mette (nei rientri di una curvatura o insenatura e nemmeno sotto una cascata).
In questo caso oltre allo scopo interpretativo, c’è anche quello che esso aiuta la tridimensionalità dell’esposizione/progetto.
L’intero progetto è stato prima condiviso da Mimmo e poi letteralmente tradotto, in termini di sensazioni prima e d’immagini dopo, con infiniti ritocchi sapientemente dosati in diverse settimane di lavoro del daiza (vedi foto n. 3).
Un inno all’amicizia, a ciò è valso questo progetto. L’amicizia, quel sentimento profondo che provi per qualcuno/a dal quale non vorresti mai distaccarti. E quando succede che rivedendolo/a dopo tanto tempo provi la sensazione di non esserti mai allontanato. Questo è l’infinito, questo è il paradiso.
Ora questa pietra mi appartiene, mi è stata ceduta da Mimmo. Ha voluto che fossi io a raccontare questa storia, e lo ringrazio per questo bellissimo progetto che ha voluto condividere.
Al contempo, ringrazio Luciana Queirolo, la quale mi sta accompagnando in quest’arte, allargando i miei orizzonti non riducendoli mai a stereotipi (da tanti professati e poi sistematicamente disattesi in nome del commercio).
Con essa condivido: figure, montagne, colline e paesaggi senza limiti, andando oltre il finito, rendendoci sognatori persi.
Nel taoismo, ogni montagna che si erge verso il cielo è la più grande espressione di conversione di energia in materia.
Qui, nella foto in basso, un’esposizione in tokonoma, stile Gyo, per gentile concessione di Cosimo Fragomena (della Scuola Bonsai Med di Catanzaro).
Aldo Marchese © RIPRODUZIONE RISERVATA
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