Suiseki per principianti che si avvicinano a questa antica arte orientale
Il bonsai è già da tempo seguito da molti appassionati in Italia, insieme a quest’arte inevitabilmente si inciampa prima o poi in una forma di interessante ricerca che ha portato numerosi ammiratori alla scoperta dell’arte delle pietre ornamentali denominata suiseki. Queste pietre di particolare bellezza (così dovrebbe essere), hanno il potere di suggerire immagini e suggestioni della natura a esse associate.
Con questa pubblicazione voglio continuare a far conoscere a chi si avvicina per la prima volta alla cultura e filosofica dell’espressione orientale verso le pietre.
Cos’è il suiseki
La parola SUI – SEKI, letteralmente “pietra acqua”, può far pensare che i sassi vengono solo da fiumi, ma sarebbe un errore. Si ritiene, infatti, che questo nome descriva l’uso antico di esporre le pietre in vassoi pieni d’acqua associate a scrol (rotolo) con le pitture classiche orientali di monti e laghi.
Le prime pietre furono introdotte in Giappone da ambasciatori cinesi che portarono queste pietre come doni pregiati. Da allora e fino all’era Meiji (1868 – 1929) saranno usate molte parole per indicare le pietre-paesaggio: Daiseki, Kaiseki, Bonzan, Chinoseki, Bonseki, ma verso la fine 1800 il termine Suiseki venne adotto da tutti i raccoglitori e collezionisti.
Per considerare un suiseki come tale e non come pietra ornamentale, bisogna tener presente tre aspetti:
- E’ una singola pietra modellata dalle forze della natura.
- Deve possedere alcune caratteristiche che guida l’osservatore nel contemplarla ad immaginare una scena naturale inducendolo ad entrare in un mondo poetico di solitudine e tranquillità.
- Sono pietre abbastanza piccole da essere facilmente tenute fra le mani.
I suiseki sono normalmente esposti all’interno dell’abitazione, mentre le pietre più grandi sono usate per creare giardini.
Il maestro del tè giapponese Sen-no Rikyu (1522 – 1591) ha detto:
Il tè non è altro che questo: far scaldare dell’acqua, preparare il tè e berlo correttamente, questo è tutto ciò che serve sapere-
Lo stesso, parafrasando, si potrebbe forse dichiarare che il Suiseki non è altro che questo, trovare una pietra, allevarla con cura e presentarla correttamente. Questo è tutto ciò che serve sapere.
Trovare una pietra
Una pietra si caratterizza fin d’all’inizio per la sua forma, per la qualità e la patina, la grana della superficie e il suo colore. La forma deve essere suggestiva e deve dare l’impressione di non somigliare a qualche altra cosa fuori dal senso naturale e artistico. Il pittore cinese Jin Hao ha scritto:
La somiglianza di una pietra si impossessa della forma ma lascia scappare lo spirito quando questa somiglia ad un dinosauro o a vostra suocera, pertanto non avrà sicuramente la possibilità di divenire un buon Suiseki.
Bisogna che sia portatrice d’impressioni poetiche e di leggende mitiche. Se è un paesaggio, dovrebbe spingere l’osservatore a sentirsi immerso in questo, la forma deve rispettare anche certi principi estetici, in relazione con l’asimmetria e l’equilibrio.
In più la pietra non dovrebbe essere né troppo dura (mancherebbe allora della qualità del tatto di cui è ricercata) né, soprattutto, troppo friabile. La superficie può essere liscia o rugosa, ma alcune superfici sono più ricercate di altre, esiste per il Suiseki una classificazione dettagliata delle diverse categorie delle superfici. I colori scuri sono assai preferiti, legati alla semplicità (Wabi) e la profonda minuzia e delicatezza (Yugen).
Con colore chiaro è più difficile ma non impossibile ottenere un buon Suiseki.
Allevarla con cura
Una pietra appena trovata non è che un probabile futuro suiseki. Fare di una pietra un Suiseki occorre tempo aggiunto alla passione, pazienza e perseveranza, è quello che si chiama Yo-seki (allevare e nutrire una pietra).
Questo può essere fatto in due modi. Il primo metodo il più consigliabile è “umido”. Si pone la pietra fuori, in giardino, esposta agli agenti atmosferici, (pioggia,vento, muschi e licheni) annaffiandola frequentemente. Poco a poco acquisterà la qualità di trattenere bene l’acqua ottenendo una gradevole lucentezza che con gli anni e la stagionatura naturale gli ossidi contenuti in essa contribuiranno a scurirla. Il secondo metodo è “secco”. Si conserva la pietra all’interno e si strofina con le mani e con un tessuto. A poco a poco acquisirà una patina a mio parere poco naturale.
Nella Cerimonia del Tè viene pronunciata la seguente frase:
Patina naturale va bene, patina artificiale male.
Ciò significa che, a dispetto della buona volontà creatrice bisogna saper evitare l’influenza dell’artificio. Quindi, normalmente non verrà utilizzato alcun prodotto come oli, creme e sostanze artificiali mirante ad ottenere rapidamente l’effetto di finta patina. Mentre al termine di molti anni di cure naturali, la pietra presenterà qualità date dall’età, avrà un colore tendenzialmente antico e aumenterà il fascino del Sabi e Mochikomi solo allora si potrà chiamare Suiseki.
Come presentare un Suiseki
La pietra deve essere poggiata su un supporto che può essere di legno (base) fatta espressamente su misura alla pietra (Daiza) oppure su un vassoio di ceramica o di bronzo (Suiban o Dòban) riempito di sabbia e/o di acqua.
Una pietra di qualità merita un supporto di qualità, per una bella pietra da osservare si cercherà assolutamente un legno pregiato (ciliegio, noce, frassino, tiglio e oramai l’introvabile e raro palissandro).
I Suiban saranno, se possibile, pezzi artigianali, in ambedue i casi si dovrebbe praticamente poter parlare di opere d’arte. Ma la “presentazione” di un supporto ha lo scopo unico di valorizzare la pietra. In seguito si potrà iniziare la presentazione in una composizione con altri elementi (piante di compagnia, calligrafie, tempai ecc …).
Si tratta di rappresentare, su uno spazio ridotto la natura tutta intera. Shin, Gyo e So sono i tre modi di rappresentare un Suiseki o un Bonsai. Shin è formale, rigoroso e austero. Gyo è semi formale e So (erba di compagnia) è una rappresentazione più morbida e libera.
Gian Luigi Enny © RIPRODUZIONE RISERVATA
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