Dialoghi tra un allievo ed il suo Maestro

Dialoghi tra un allievo ed il suo Maestro

di Jesùs Quintas e Aldo Marchese | Conferenza Congresso AIAS 5/7 novembre 2021, Stazione Leopolda – Pisa

Introduzione

Il mio contributo in questo scritto è di portare, in veste di allievo nel suiseki, l’esperienza di un personaggio internazionale come Jesùs Quintas a coloro che desiderino avere delle risposte e/o approfondimenti su temi spessi ridondanti.

Le tematiche trattate si dividono in tre domande, alle quali Jesùs risponde, acconsentendo da subito a formularle in modo trasversale alla nostra Associazione, ed avere un beneficio fruibile per tutti gli associati.

Sperando di essere riuscito nell’intento, destando interesse e fornendo delle risposte utili al proseguo di quest’arte, auguro una serena lettura.

Aldo Marchese


Domande

1) fino a che punto una pietra aspirante suiseki, dovrebbe essere pulita?

Ho sempre pensato che la differenza la faccia la tipologia della pietra (ignea, metamorfica o sedimentaria) e ho sempre pensato di fermarmi, temendo di distruggerne la sua pelle o superficie.

2) sull’analisi della pietra, mi piacerebbe sapere le tue considerazioni. Ti indico la mia analisi per valutare una pietra: Potenzialità evocative e suggestive; Emozioni; Dimensioni & Proporzioni; Nagare’ (Flusso e dinamicità); Scelta di una collocazione ideale: se su una base in legno od in un suiban Aspetti correlati alla successiva esposizione kazari: Analisi, foto, disegni e prove in tokonoma.

3) Il Suiseki è arte? Chi è il suisekista? Di chi è il Suiseki?

Risposta di Jesùs (prima domanda)

Non mi sento in grado di indicare, né su questo né su gran parte di ciò che riguarda il suiseki (né su alcun aspetto del percorso di vita) un principio o un criterio categorico, ma prometto di offrire le mie riflessioni e apprezzamenti personali, specie se possono guidare qualcuno.

Sebbene questo sia uno dei commenti più comuni su una pietra per  il suiseki, credo che la “pulizia” non sia qualcosa che può essere valutata separatamente, ma faccia parte di un insieme di aspetti o parti della preparazione di una pietra per farla divenire un suiseki.

Ad es. se pensiamo al nostro aspetto personale, o alla presentazione di un piatto, o alla decorazione di una casa o di una stanza. Sono tutti aspetti che rivestono un gusto personale.  Voglio ricordare l’aneddoto di Rikyu e di suo figlio, riguardante la preparazione di un giardino all’ingresso di una casa da tè: il giardino era stato troppo pulito: mancavano alcune foglie sparse per terra.

La pulitura inizia solitamente con le parti sporgenti (convesse) della pietra e poi, in un lavoro difficile, lento e attento, si procede a poco a poco attraverso le parti rientranti (concave). Non si deve usare troppa forza, affinché la pietra non si rompa; non si può abusare della spazzola metallica, perché la consistenza e il tono della pietra possono essere alterati, né, ovviamente, si devono usare prodotti chimici.

Tuttavia, in alcuni casi, c’è un’alternativa. Torniamo un passo indietro, nel momento in cui abbiamo eliminato le aderenze dell’erosione stessa della pietra: anche se la pietra non è perfettamente pulita, la sua forma e il suo colore sono perfettamente visibili.

Se in quel momento iniziamo il processo dello Yoseki in “sudor y tela -sudore e stoffa” e solo occasionalmente, puliamo le scanalature con un punteruolo senza usare la forza, si ottiene un aspetto uniforme e una sensazione di invecchiamento e patina…  un po’ come un sereno pomeriggio autunnale, un po’ diffuso, ma prima che si alzi la nebbia. Nel tempo si può ottenere una pulizia quasi completa, ma senza che la pietra appaia “nuova”.

Probabilmente più di uno sarà rimasto sorpreso: ma può avere patina una pietra sedimentaria come quelle liguri o di Furuya? Almeno per una volta sarò categorico: senza dubbio! Attraverso lo “yoseki secco” e lo dico per esperienza personale.

Il suiseki, come la vita, è l’arte di trovare un equilibrio tra le circostanze, i fattori e le risorse che sono alla nostra portata. Quando si contatta una pietra per suiseki, l’ideale è avere un’idea del tipo (o dei tipi) di presentazione in cui verrà utilizzata.

Personalmente, sto affinando la nozione di cosa sia il suiseki in questo momento dal mio punto di vista: “Suiseki è l’arte di presentare una composizione armoniosa che suggerisca un’istantanea fuori dal tempo legata alla natura, attraverso l’uso di una pietra naturale e, se del caso, di oggetti complementari, secondo criteri estetici e filosofici della cultura tradizionale orientale”.

In base a questa nozione, quel primo contatto con la pietra per suiseki porta a considerare i tipi di trasformazione più idonei a beneficio della composizione (o delle possibili composizioni): posizione, denominazione, pulitura, levigatura, modifica, invecchiamento.

Riflessioni di Aldo

Parto da questo tuo spunto che mi sembra essere un principio cardine: “Il suiseki, come la vita, è l’arte di trovare un equilibrio tra le circostanze, i fattori e le risorse che sono alla nostra portata”. Equilibrio sembra essere la parola d’ordine.  L’equilibrio può essere definito come capacità di mantenere il corpo e mente in uno stato di benessere psichico.

Ritornando al suiseki, per la mia breve esperienza è importante allenare l’equilibrio e/o possibilmente migliorarlo. In questo, si riassume lo splendido lavoro della mia mentore che costantemente sviluppa in me una serie d’inputs quasi quotidiani sulle pietre “Allenare la suggestione/evocazione».

Ma quindi perché allenare l’equilibrio? Perché migliora la qualità della valutazione di una pietra; Migliora la sensibilità cognitiva (sentimenti, suggestioni e phatos). Allenare l’equilibrio significa aumentare “l’esperienza”. Il nostro cervello è in grado di memorizzare e ricordarsi le nostre esperienze visive. Allenare l’equilibrio significa simulare condizioni di disequilibrio immagazzinando nuove esperienze visive utili nel momento della raccolta (Tanseki-ko). L’esperienza, lo studio, la didattica, il confronto con esperti diventa fondamentale!

Secondo punto: “Suiseki è l’arte di presentare una composizione armoniosa che suggerisca un’istantanea fuori dal tempo legata alla natura, attraverso l’uso di una pietra naturale e, se del caso, di oggetti complementari, secondo criteri estetici e filosofici della cultura tradizionale orientale”.

Questo tuo punto suscita in me un profondo rispetto e mi aiuta a rilevare la differenza sostanziale tra la pietra Suiseki ed il Seki kazari. Una differenziazione netta tra la fase di valutazione e di pulitura della pietra naturale e quella della sua valorizzazione in un ambito compositivo.  La decisione della sua pulizia e la realizzazione della base di una pietra è solo un inizio per dare un indirizzo successivo al momento di esporla; poi l’esposizione di un suiseki in un tokonoma, rende pieno merito alla parola “Arte”. Lo scopo artistico di esporre in un display, è di evocare un senso di calma, aiutare lo spettatore ad identificarsi con la natura ed apprezzarne la grandezza. Obiettivo principale, “fornire emozioni”.

Risposta di Jesùs (seconda domanda)

Come ho accennato qualche volta, in me coesistono almeno due visioni: quella emotiva (l’amante delle pietre) e quella razionale (il tecnico o critico delle pietre). Spesso coincidono, ma non sempre.

Nel mio caso, di fronte a un insieme o un gruppo di pietre, la visione emotiva mi pone di fronte alla domanda “che pietra vorrei portare a casa?” La visione razionale mi pone di fronte alla domanda “quale pietra possiede le migliori qualità estetiche e tecniche, secondo i canoni generalmente applicati”?

Può sembrare che la visione emotiva si presti alla soggettività, all’irrazionalità o al capriccio. Ma se ci pensiamo un po’ ci rendiamo conto che in molti casi non è così. Supponiamo che durante un viaggio osserviamo un paesaggio o un angolo di un giardino e alcune bancarelle dove vengono venduti i loro disegni, tutti allo stesso prezzo: quale attirerà di più la nostra attenzione? Molto probabilmente, quello che è diverso dagli altri, per messa a fuoco, colore, dettagli evidenziati o introdotti, rapporto tra cielo e terra, ecc. In altre parole, individualità o originalità.

L’aneddoto della “Morning Glory” tra Rikyu e Hideyoshi può essere illustrativo:

Un anno, il leggendario maestro del tè del XVI secolo, Sen no Rikyu, piantò le glorie mattutine nel suo giardino di Kyoto. L’onnipotente shogun, il tirannico Toyotomi Hideyoshi, sentì parlare della bellezza dei fiori e annunciò che lui e il suo seguito avrebbero viaggiato dal suo castello all’umile capanna del tè di Rikyu per vedere i fiori. Ma quando arriva, tutte le glorie del mattino sono state tagliate e rimosse, radici e tutto. Non è rimasto un solo fiore. Arrabbiato per l’affronto, entrò nella casa da tè e trovò una perfetta gloria mattutina, il fiore glorioso che brillava di rugiada e sistemato semplicemente in un contenitore di bambù nell’alcova della piccola stanza. Quando Hideyoshi iniziò a capire il significato del gesto di Rikyu, un pannello laterale si aprì e Rikyu entrò per iniziare la cerimonia del té.

Può sembrare che la visione razionale o canonica sia molto più oggettiva, ma in pratica non è così vera. Da un lato, i canoni tendono a produrre una proliferazione di regole e criteri, non sempre congruenti, che possono superare i 613 comandamenti ebraici, lasciando a ciascuno la decisione sull’importanza dell’inosservanza di uno di essi. D’altra parte, arriva spesso un momento in cui la ragione originaria che li ha ispirati è stata dimenticata e non esiste canone la cui applicazione sia immune dai gusti e dalle inclinazioni del critico.

Ad esempio, in una presentazione toko-kazari in una chashitsu (capanna del tè), sembra appropriato uno stile wabi, con luci soffuse, quindi una pietra molto scura sarebbe appena visibile, soprattutto se esposta su un vassoio scuro.

chashitsu

Tuttavia, una tale combinazione sarebbe adatta per una presentazione tana-kazari in modalità shoin all’ingresso di una residenza borghese. Mentre una pietra Taihu bianca non potrebbe essere adeguatamente apprezzata in un ambiente luminoso.

In relazione al materiale di cui è composta l’eventuale pietra per suiseki, si dice spesso che deve essere tanto più dura quanto meglio è. Questo pone già una prima difficoltà, poiché esistono diversi criteri per misurare la durezza delle rocce, sebbene la più comunemente usata sia la scala di Mohs.

A mio avviso, sarebbe più appropriata l’idea di durabilità, intesa come capacità di mantenere indefinitamente la propria forma e aspetto, ma la durezza stessa è irrilevante, rispetto ad altre caratteristiche come forma, armonia, colore e tono (e anche le dimensione). A titolo indicativo, i gradi 1 e 2 (talco, gesso, 3 arenaria) della scala Mohs indicano che, probabilmente, la pietra non resisterà a un intenso processo di pulizia e che la sua forma non sarà molto stabile nel tempo; ad esempio, alcuni tipi di lava. I gradi 7 e superiori (dal quarzo al diamante) sono troppo duri, si erodono molto lentamente, quindi le loro forme probabilmente non sono molto attraenti per il suiseki. Pertanto, è più probabile che i gradi intermedi forniscano pietre adatte per il suiseki; il test del rasoio è un valido aiuto (fare un graffio superficiale e poi asciugarlo con un dito con un po’ di sudore: se il graffio scompare, la pietra, come materiale, è adeguata).

In varie occasioni (escursioni di raccolta, pietre offerte da un altro hobbista, visite a venditori specializzati), sono andato con altri colleghi e mi diverte osservare i dubbi e le amichevoli dispute su questa o quella pietra. Dopo un po’, di solito chiedo, hai già scelto? E in quel momento ne scelgo uno di quelli che erano stati scartati; frequentemente, alcuni di loro lo avevano fatto notare mentalmente fin dall’inizio, ma le scelte dei miei colleghi mi hanno aiutato a scartare pietre più canoniche.

Insomma, credo che la selezione delle potenziali pietre per suiseki debba partire da un impatto o da una visione emotive, che può essere integrata da una conoscenza precedentemente acquisita che aiuti a riconoscere la bellezza a volte non apparente e la considerazione dei passi da compiere e delle difficoltà di ottenere finalmente una pietra per il suiseki. Nel processo di preparazione, possiamo cogliere l’occasione per immaginare come potrebbe essere il primo seki-kazari; dopo, dovremo pensare a quanto segue.

Non sono favorevole alle mostre-concorsi (con premi e diplomi) e che la mia partecipazione alle mostre è, quasi sempre, “fuori concorso”, dal momento che accetto spesso inviti a fungere da valutatore in alcuni di questi concorsi.

In generale, penso che i premi dicano di più su chi li decide che su chi li riceve. Per me è un’opportunità per mostrare e spiegare (attraverso la visita guidata) i miei apprezzamenti e le mie idee. Le pietre premiate possono servire da ispirazione per l’evoluzione dei partecipanti nella conoscenza e nella pratica del suiseki. Non presumo di possedere la conoscenza ultima, ma solo di continuare ad avanzare; infatti le domande degli espositori mi aiutano a farlo. Per questo motivo la responsabilità di chi assegna un premio è molto alta, poiché la sua decisione si dovrà basare sul mero apprezzamento della pietra o della composizione (secondo i  canoni stabiliti ed in base al regolamento del concorso). Inoltre, i concorsi portano una parte degli appassionati ad essere guidati più dal desiderio di ottenere un premio che dal presentare e condividere la loro visione del suiseki, dimenticando cosa significa il suiseki come modo di godimento interiore e distacco dal desiderio e dall’ ambizione.

Capita spesso che la mia visione emotiva e la mia visione razionale non coincidano e sono consapevole che questo può essere frainteso, ma penso che due esempi possano aiutare a capirlo:

  1. In una composizione la pietra ha individualità e fascino, ma la base è mal realizzata o il vassoio non è il più adatto alla pietra: la visione emozionale apprezza come la composizione possa essere migliorata in futuro, ma la visione razionale valuta la composizione come è adesso. Pertanto, la valutazione emotiva sarà superiore a quella razionale.
  2. In un’altra composizione, la pietra è corretta ma senza un’attrazione particolare, tuttavia la composizione presenta armonia ed equilibrio: la visione emotiva non è così intensa, poiché è consapevole delle limitate possibilità di ottenere di più dall’elemento principale, ma la visione razionale apprezzerà la qualità della composizione. Pertanto, la valutazione emotiva sarà inferiore a quella razionale.

Sebbene questi due esempi contrastino, pietra per suiseki e composizione (kazari), possiamo pensare ad altre situazioni riferite solo alla pietra (cambiamento di posizione o di fronte, pulizia), all’adeguatezza tra pietra e supporto (nuovo basamento o vassoio), o al nome poetico e persino la classificazione.

Tenendo presenti queste due visioni e cercando di determinare quale di esse sia quella prevalente in ciascun caso, penso che tutto questo possa aiutare ad approfondire non solo la nostra comprensione di quest’arte ma anche la nostra conoscenza di noi stessi.

Riflessioni di Aldo

Grazie della tue risposte, sono state di aiuto per liberare la mia mente da qualche dubbio.

a) Mi è piaciuta molto la frase in cui l’obiettivo di una mostra dovrebbe essere la condivisione della visione propria ed altrui sul suiseki. L’onore della partecipazione dovrebbe dirla tutta.  Mi rinfranca anche la tua umiltà e questo si coniuga con la mia mentore in un percorso senza fine. Ed è proprio questo il bello. se posso farò mia questa tua frase, ” Non presumo di possedere la conoscenza ultima, ma solo di continuare ad avanzare“;

b) In merito al criterio di selezione del potenziale suiseki, penso che per un esperto o dilettante la parte emotiva sia per entrambi d’impatto, ma con una differenza in termini temporali; l’esperto si pone subito dopo la fase emotiva le domande sulla valutazione oggettiva, mentre il dilettante ha un processo più lungo dal momento emotivo a quello razionale. La cosa può sembrare banale, ma cambia molto il modo di fare suiseki per la singola persona. Penso a quando iniziai a raccogliere pietre si portava di tutto e magari qualcuna meno meritevole oggi ha un daiza, rispetto a tante altre raccolte che ancora aspettano.

c)  un altro tuo punto: “Nel processo di preparazione, possiamo cogliere l’occasione per immaginare come potrebbe essere il primo seki-kazari; dopo, dovremo pensare a quanto segue”. E’ un poco come per il bonsai: non si lavora la pianta per attuare solo lo stile ma per pensarne la sua esposizione in tokonoma.  

Risposta di Jesùs (terza domanda)

Secondo punto. È tempo di parlare di arte.  Inizio con un’affermazione, la quale ti sembrerà scioccante e contraddittoria a mia difesa: che il suiseki è senza dubbio un’arte. Ma l’arte non esiste, essa è dappertutto; E’ arte perché fatta da un artista o qualcuno è un artista perché ha fatto arte? Io non conosco la risposta, ma se tu la possiedi per favore me la spieghi; Prometto di fare del mio meglio per capirlo, ma temo di non riuscirci.

La più grande arte è vivere. In Spagna (soprattutto al sud) l’espressione “che ha arte” è usata spesso per lodare un’azione a volte ordinaria, ma compiuta con grazia: Ciò potrebbe accadere, sia se dovessi servire una birra, che per preparare o presentare un piatto culinario, od ancora per passeggiare in una via particolare.

In Italia, i pittori e gli scultori che oggi conosciamo come grandi maestri erano inquadrati in corporazioni (scuole), così come scalpellini, carpentieri, ecc. 

Come nel remoto giapponese, non potevano diventare indipendenti senza il permesso del loro insegnante o della loro scuola.  Molte delle opere pittoriche del maestro furono in parte performance dai suoi discepoli.  Fino al Trecento, nei dipinti, nelle sculture, nelle chiese non compare il nome dell’autore.

In realtà, qual è la differenza tra un artista e un artigiano? Il riconoscimento sociale. Una foto scattata da uno sconosciuto non è considerata arte, ciascuna delle copie numerate e firmate di un’incisione disegnata da un artista (incisione e stampa sono solitamente realizzate da un artigiano) hanno un valore apprezzabile.

Pertanto, non è la singolarità o l’esecutore materiale che determina che qualcosa è arte. Nelle diverse culture, ci sono diversi tipi di opere e professioni che sono considerate arte.

Si parla del “genio dell’artista”, ma anche del “genio” dell’inventore, ingegnere, medico, imprenditore, ecc. In tutti questi casi c’erano regole, tecniche, criteri, ecc. e, che furono applicati da queste persone, così come da altri; allora perché sono dei geni? Credo perché, anche forse senza volerlo, hanno saputo introdurre cambiamenti, non sempre percepibili, che significavano cambiare qualcosa e che altri, al massimo, potevano solo replicare. E, in qualche modo, la società ha saputo riconoscerli e valorizzarli. Ma quanti geni, minori o maggiori, non sono stati riconosciuti? Quello che hanno fatto, sì.

Se l’obiettivo è il successo o il riconoscimento, la probabilità di fallimento è alta; Ma se si tratta semplicemente di mettere passione e impegno in quello che si fa, cercando di superare gli ostacoli e le difficoltà che si presentano, la probabilità di progresso è alta.

Riflessioni di Aldo

Se partiamo dall’assunto che la pietra deve rimanere inalterata, possiamo definire che: il Suiseki, essendo un risultato della Natura, non può essere riproducibile. Esso è arte poiché provoca i sentimenti di chi l’osserva. “l’Arte è un merito creativo che viene dalla sensibilità, dall’ispirazione dell’artista unite alla sua capacità manuale o progettuale“.  Quando si diventa artisti, nel Suiseki?

Molti confondono la figura dell’Artista suiseki con coloro che valorizzano una pietra. Hanno molto in comune, ma l’artista suisekista ha come obiettivo finale rendere la pietra al pubblico in una serie di combinazioni che si legano alla cultura giapponese. Entrambi possono creare opere di indubbio fascino e valore, possiedono capacità tecniche di alto livello ed eseguono i propri lavori direttamente e con preponderante manualità.

La vera differenza è la creatività con destinazione l’estetica: l’ispirazione per l’artista ha come obiettivo nel suiseki di dialogare con il pubblico in un processo di comunicatività a due vie. Mentre per l’artista che valorizza una pietra la comunicazione senza esposizione è univoca e monodirezionale ..

Ma chi trova una pietra, la esalta e la espone, l’eleva a Suiseki, quindi ad oggetto d’Arte? E’ lui stesso un artista? Supponendo che uno trovi una pietra meravigliosa, che un bravo artigiano crei una base; che un collezionista l’acquisti; chi è l’artista?

Matsuura dice: “Un suiseki non è più che una pietra mucchio. Il nostro animo e la nostra fantasia la fanno diventare qualcosa di speciale”.

Da una ricerca empirica sul campo Luciana Queirolo chiede ad un suo referente in Giappone (Mr. Wil), la seguente informazione:

Luciana a Wil

Ciao, una domanda per te e una definizione per me. Come viene chiamato in Giappone colui che segue il suiseki a partire dal tanseki ko, alla costruzione del daiza, fino alla sua esposizione? Un  termine che lo rappresenti?

Wil a Luciana

Ciao, per essere onesto non ho mai sentito parlare di un termine del genere. A volte in giapponese si aggiunge il suffisso «KA» ad un sostantivo per denotare una professione. Ad esempio per pittore è «GAKA» e per il bonsaista è «BONSAIKA», ma il Suiseki non è una professione. Un termine per indicare un appassionato di suiseki è «Suiseki Shumita o 水石が好きMizuishi ga suki» o un amante del suiseki è definito «Suiseki Aikota o 水石好き Mizuishi suki».
Ma nessuno di questi termini fa differenza tra chi compra un suiseki e chi lo cerca.

Allora….? Chi è il suisekista?

Il «qui ed ora» dovrebbe farci godere del presente!

Di chi sia il suiseki, o chi sia il suisekista non ha senso, se non sentiamo il bisogno intimo di godere.

Uso un articolo di Carlo Scafuri, pubblicato in Takumi – «Il mio Suiseki». Un articolo provocatorio, quanto a mio parere concreto in cui ci si chiede di chi sia un suiseki? Di chi lo trova, di chi lo pulisce, di chi gli costruisce un daiza, (o lo commissiona), di chi lo acquista o di chi ne cura l’esposizione?

Massimo Troisi nel film «il Postino», affermava che la poesia non è di chi la scrive, ma di chi se ne serve.

L’immaterialità espressa dalla poesia e nel nostro caso dal suiseki è molto più importante del possesso. Perché chiedersi di chi sia il suiseki o chi è il suisekista, è come chiedersi di chi sia l’aria che si respira. Occorre abbandonare la materialità  ed entrare in armonia con se stessi e nel proprio percorso intrapreso.

In Giappone la figura del suisekista è univoca, senza differenziazioni rilevanti. «Il suisekista è un amante della Natura».

Jesùs Quintas e Aldo Marchese © RIPRODUZIONE RISERVATA

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